Mariano Comense

Percorso dei Sensi

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Il GACom dal 2006, anno della sua prima edizione, ha partecipato alla manifestazione di piazza “Il percorso dei sensi” consistente in un divertente gioco a premi che, articolato un po’ come il gioco dell’oca, coinvolgeva una buona parte delle associazioni presenti nel territorio della città, attraverso diversi giochi proposti all'interno dei singoli stands. La grande manifestazione, che occupava tutte le strade del centro di Mariano Comense, si svolgeva nel mese di maggio e fino al 2013 (anno della sua ultima edizione) ha attestato la presenza di migliaia di partecipanti, numero sempre in crescita.

Lo stand del GACom, “Il senso della scoperta”, ha proposto, di consueto, tre tipologie di giochi a tema archeologico durante i quali si potevano totalizzare fino a 10 punti, in modo da incrementare il punteggio personale che dava accesso ai numerosi premi che venivano messi a disposizione dall'organizzazione.

Lo stand aveva anche lo scopo di far conoscere il patrimonio archeologico rinvenuto nel territorio di Mariano Comense ed in generale nel Comasco. 

Purtroppo da alcuni anni la manifestazione è stata "congelata" ma si spera che essa possa essere a breve riproposta. Noi saremo, ancora una volta, pronti a cogliere la sfida. 


 

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Mariano Paleocristiana

Nel 2006 il GACom ha partecipato alla conferenza “Le origini della nostra comunità cristiana, presso la sala San Carlo a Mariano Comense.

Si è trattato di un incontro in cui si è analizzato lo sviluppo dall’antica città romana alla prima comunità di epoca cristiana e dei personaggi che l’hanno caratterizzata, con un particolare accento posto ai recenti rinvenimenti avvenuti presso il Battistero di San Giovanni, accanto alla chiesa prepositurale di S. Stefano Protomartire.

Il nostro intervento è stato possibile grazie all’aiuto dell’archeologo Paul Blockley che ci ha messo a disposizione il materiale pubblicato a seguito dello scavo.

Il Battistero di S. Giovanni Battista è posto accanto alla chiesa prepositurale di S. Stefano Protomartire, nota da documenti risalenti all’XI secolo d.C. Gli scavi effettuati hanno evidenziato quattro fasi storiche in cui sono avvenute trasformazioni nella struttura, che alcuni ritengono costruita sopra un più antico tempio pagano, ipotesi forse confermata dalla prima fase di epoca tardo romana di cui restano poche tracce e a cui potrebbe appartenere un’ara oggi situata presso un vicino giardinetto.

La seconda fase, di epoca altomedievale, è caratterizzata dalla presenza di alcune sepolture e da altre tracce di un edificio che si sovrapposto al più antico.

Durante la terza fase, romanica, sono stati smontati gli edifici preesistenti, anche per recuperarne i materiali per il reimpiego, per poi costruire il battistero nella pianta quadrilobata, ancora oggi visibile. In questo periodo viene realizzata la vasca del fonte battesimale e due ingressi, uno a nord in direzione della chiesa ed uno a ovest.

Nella quarta fase, postmedievale-rinascimentale, viene realizzato un nuovo ingresso sul lato est, con la conseguente chiusura dei due precedenti, nello stesso periodo in cui fu capovolta anche la prima chiesa di S. Stefano. Fu distrutto il precedente altare, nel 1574, con il ritrovamento ed il trasferimento nell’altare maggiore di S. Stefano di una capsella di cui si parlerà più avanti. Nel ‘600 furono anche altre due sepolture, in particolare una di donna con accanto un bambino a lei accostato in posizione fetale. Sempre nel ‘600, davanti al suo ingresso fu realizzato un protiro neoclassico, ancora oggi visibile.

La capsella liturgica, rinvenuta nel ‘500, è una piccola urna di pietra a forma di sarcofago e contiene piccoli frammenti di avorio con resti di tessuto purpureo e lamine metalliche frammentarie (resti di una più antica capsella. Non si conosce la natura delle antiche reliquie qui custodite. Le lamine riportano soggetti realizzati a rilievo, rappresentanti una baccante con un cesto pieno di grappoli d’uva, una danzatrice, un giovane alato. Tutti i soggetti, nudi, hanno in una mano un pesce ed un uccello nell’altra e sono tra loro separati da un motivo con viticci e grappoli d’uva. Si tratterebbe di un manufatto realizzato prima del V secolo d.C., con iconografia di tipo pagano, ripresa in ambito cristiano per la presenza della vite. Sono quindi rappresentazioni estranee alla mentalità cristiana, che dimostrano il momento del passaggio dal paganesimo al cristianesimo da parte di pagani convertiti, che utilizzano ancora elementi ornamentali appartenenti alla loro precedente fede nell’ambito della liturgia, in un ambiente in cui il cristianesimo non è ancora fortemente consolidato. In caso contrario le raffigurazioni della capsella sarebbero state sicuramente poco tollerate.

Per ulteriori approfondimenti:

Corbetta M. – Martegani A. “L’Alto Medioevo” in Storia di Mariano Comense, I, 1999.

Blockley P. – Simone Zopfi L. “Lo scavo del Battistero di S. Giovanni Battista” in Storia di Mariano Comense, II, 2004.

Sannazzaro M. “Nuove indagini sulle capselle di Mariano” in Storia di Mariano Comense, II, 2004.


 

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Mariano Romana

L’area centrale dell’insediamento romano di Mariano Comense non corrisponde con l’attuale centro urbano. Inoltre dei resti romani non resta più nulla di visibile a causa dell’urbanizzazione ed i pochi rinvenimenti avvenuti casualmente sono stati nuovamente interrati. Si tratta di resti di case ritrovate presso via Di Vittorio, nelle vicinanze della Roggia Vecchia, e in via Kennedy, al di sotto dell’attuale mercato. Erano abitazioni a più vani, costruite con ciottoli e laterizio, databili tra I e II secolo d.C.

Il più importante rinvenimento della Mariano della stessa epoca è stata la necropoli a incinerazione di via Tommaso Grossi. La zona fu già in parte scavata alla fine degli anni ‘70, a seguito di lavori urbanistici effettuati lungo la via, con il conseguente rinvenimento di 130 tombe. Negli anni 1997-1998, in vista della costruzione di un condominio e del conseguente abbattimento di un capannone industriale abbandonato, si è proceduto allo scavo di parte dell’area interna al capannone che, essendo privo di fondamenta, ha permesso la conservazione di 37 strutture funerarie. In seguito si scavò l’area che corrispondeva alle fasce di terreno lungo le quali correvano le pareti perimetrali del fabbricato, ormai rasato, dove sono state rinvenute oltre cinquanta tombe.

A conclusione dei lavori sono state contate oltre 200 tombe, risalenti ad un periodo compreso tra il I ed inizi III secolo d.C., rivelando così la presenza a Mariano Comense di quella che al momento è tra le più grandi necropoli romane della Lombardia.

Il rituale funerario a cui erano stati sottoposti i defunti è quello dell’incinerazione, il cui uso, esistente dall’età del ferro, sembra si sia protratto per un periodo più lungo rispetto a Como, in cui l’inumazione aveva sostituito la cremazione a partire dal II secolo d.C. Solo in due casi, sicuramente appartenenti ad un periodo più tardo, sono state trovate tombe ad inumazione, praticamente intatte, costituite da lunghe fosse rettangolari coperte da tegoloni, al cui interno non è stato rinvenuto alcun frammento osseo a causa dell’estrema acidità del terreno che ne ha dissolto ogni traccia.

Le tipologie tombali, a parte le due inumazioni, sono di vario genere: cassette costituite da tegoloni, al cui interno sono raccolti gli oggetti del corredo ed i resti ossei combusti del defunto, ripuliti dai residui di legno carbonizzato che invece erano spesso stati gettati nella zona esterna, all’interno della fossa preparatoria scavata per accogliere la struttura; anfore vinarie o olearie segate nella parte alta interrate verticalmente in una fossa chiusa da un tegolone, contenenti parti di corredo, a volte posto anche accanto ad esse sempre all’interno delle buche (in alcuni casi vi sono come “varianti” anfore sdraiate in orizzontale, chiuse dal tegolone posto di taglio e, in casi unici, con apertura laterale sulla pancia a “sportello”, o capovolta, con il puntale verso l’alto e l’apertura poggiante sul tegolone posto in basso); vasi direttamente inseriti nella buca praticata nel terreno. In un caso vi erano i vasi poggianti su due tegoloni posti sul fondo di una fossa priva di altre tegole. Tra le strutture funerarie sono state individuate anche buche completamente riempite da frammenti di legno carbonizzato, prive o quasi di elementi di corredo e di frammenti osteologici. Alcune fosse avevano le pareti quasi completamente rivestite da ciottoli fluviali. Nella maggior parte dei casi si è potuta notare l’esistenza di “delimitazioni” di aree funerarie costituite da blocchi di pietra e ciottoli di dimensioni maggiori, allineati quasi a voler costituire fasce parallele di raggruppamenti tombali, forse di individui appartenenti allo stesso gruppo familiare.

I materiali rinvenuti all’interno delle sepolture sono principalmente costituiti da ceramica, le cui forme più ricorrenti sono l’anfora, l’olpe di varie fogge, la patera, la scodellina. In particolare spiccano lucerne riccamente decorate quasi sempre integre, nei cui dischi superiori sono raffigurati un leone, un ippogrifo e, forse, una scena di parto. Insieme a queste sono state trovate anche monete in bronzo, attualmente scarsamente leggibili, balsamari in vetro (a volte fusi dal contatto con il fuoco della pira funeraria), una ciotolina in vetro perfettamente conservata (la cui foggia è stata sinora rinvenuta solo all’interno di contesti abitativi), oggetti in ferro come coltelli, rasoi, cesoie riutilizzate come coltelli, numerosissimi chiodi (probabilmente appartenenti al tavolato ligneo in cui era deposto il defunto durante la cremazione o a oggetti in legno ormai deperiti), parti bronzee di oggetti decorativi, elementi di collana in pasta vitrea blu-verdastri e dorati.

Il rinvenimento più singolare è stato quello di due gusci di uova quasi perfettamente conservati, posti all’interno di un’anfora insieme con resti umani parzialmente combusti. Molto probabilmente facevano parte del banchetto funebre o comunque offerte come tali. Il vuoto creato all’interno del vaso dall’aderentissimo tegolone di copertura ha evitato che eventuale terra filtrata all’interno le distruggesse con la sua pressione.

Nella parte più bassa della collinetta sono state trovate le tracce parallele lasciate dalle ruote di carri, in corrispondenza di un tracciato viario che passava accanto alla necropoli o per i trasporti funebri o per il collegamento con altri centri abitati, attraversando la vallecola in cui scorre l’attuale via. Molto probabilmente, con il passare del tempo l’uso di questo asse viario diminuì, dal momento che alcune fosse più tarde hanno in parte tagliato alcuni dei solchi paralleli.

Un altro rinvenimento, relativo allo stesso periodo storico, fu effettuato proprio dietro segnalazione del GACom in via Segantini, alle spalle del cimitero, all’interno del letto momentaneamente prosciugato della Roggia Vecchia. Nel 2003 si effettuò un breve recupero di emergenza di alcuni reperti funerari, in parte intaccati da scavi clandestini. Nel 2008, durante i lavori di risistemazione dell’area della Roggia, furono effettuati i veri e propri scavi che portarono alla scoperta di oltre 100 tombe. Si attestò così la presenza di una seconda necropoli romana relativa all’antico abitato di Mariano.

Nel territorio di Mariano Comense si trovano anche alcune iscrizioni su basi di pietra, una delle quali parzialmente riutilizzata in epoche successivi per altri scopi. Una è situata sulla via per Como, in parte interrata, alla quale fu aggiunta sopra una colonna sormontata da una croce, con una nicchia scavata al centro per introdurre lumini. Alcune fonti dicono che proviene da Olgelasca. Si tratta di una dedica a Giove, Mercurio e Venere da parte di Crispiano e Marcellino. E’ databile tra il IV ed il V secolo d.C. Una seconda iscrizione si trova nel giardinetto accanto al Battistero di S. Giovanni ed è una dedica alle Matrone a seguito dello scioglimento di un voto.

Per ulteriori approfondimenti:

AA.VV. Storia di Mariano Comense, I, 1999.


 

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Preistorica e Protostorica

I rinvenimenti più antichi di Mariano Comense sono stati effettuati da Renato Bellotti presso le località Cascina Bellotti e Riviera. Si tratta un discreto quantitativo di materiale litico consistente in nuclei, lame, grattatoi, troncature, denticolati, cuspidi foliate in selce ed in asce, accette e levigatoi in pietra verde. I reperti, provenienti comunque sempre da contesti sporadici, non molto distanti tra loro, sono stati in parte anche mescolati tra loro. Resta comunque l’importanza dell’attestazione della presenza umana, ai confini dell’attuale abitato, già a partire dal Mesolitico e Neolitico.

Strumenti Litici da Riviera

Presso il Museo Civico P. Giovio di Como si conservano reperti relativi all’età del ferro provenienti da Mariano Comense, la cui unica fonte è un articolo di Baserga del 1919. Si tratta di una punta di lancia in ferro e di oggetti ornamentali in bronzo come anelli e resti di fibule a sanguisuga e a navicella. Fu rinvenuta anche una perla di pasta vitrea, oggi non più reperibile. Anche se non si è più in grado di ricostruirne l’ubicazione, molto probabilmente provenivano da un contesto tombale del VI-V secolo a.C.. Pur in presenza di dati ormai definitivamente perduti, resta l’importanza del ritrovamento che attesta la quasi ininterrotta presenza umana nel territorio di Mariano Comense già a partire da questo periodo.

Per ulteriori approfondimenti: 

AA.VV. Storia di Mariano Comense, I, 1999.

 

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